Un progetto di ricerca dedicato all'alimentazione delle bufale, dal cui latte si produce la mozzarella Dop. A promuoverlo sono l'Università Federico II di Napoli e l'azienda Pioneer (gruppo Du Pont), che hanno avviato la sperimentazione in alcune aziende del casertano e della piana del Sele. L'alimentazione delle bufale è il segreto della qualità della mozzarella: è il titolo celto dal quotidiano Il Mattino per annunciare l'iniziativa sul numero del 25 agosto scorso. Nel progetto sono coinvolti 125 impianti dell'area di produzione della mozzarella Dop.
Ecco il testo dell'articolo a firma di Ivana Infantino.
La salute dal cibo. Per gli uomini come per gli animali la prevenzione passa attraverso ciò che si mangia. E se per gli animali non si può parlare di cibi funzionali, la riduzione dei rischi, anche per i bovini, passa da una corretta gestione dell’alimentazione. È il caso del prolasso uterino, una particolare malattia della bufala, fra le principali cause di infertilità e decesso, la cui comparsa è correlata a diversi fattori (morfologia, affollamento in stalla, fattori infettivi, per citarne alcuni), tra i quali l’igiene e la qualità dei foraggi somministrati. Un fenomeno, che colpisce in media il 6% dei capi, che può essere arginato attraverso una progressiva ottimizzazione dell’alimentazione dei capi di bestiame, come dimostrano i primi risultati del progetto scientifico promosso da Pioneer Hi-Bred, una società della multinazionale chimica Du Pont, leader mondiale nello sviluppo e nella fornitura di genetica vegetale avanzata, in collaborazione con l’università Federico II di Napoli. Un progetto – i cui primi risultati sono stati illustrati in questi giorni agli allevatori di Paestum e dintorni - che ha coinvolto 60 aziende del territorio provinciale, su un totale di 125 allevamenti (Salerno, Caserta, Latina, Foggia) all’interno delle quali sono stati raccolti 560 campioni di foraggi e monitorato lo stato sanitario e l’alimentazione di oltre 33mila bufale, il 10% dei capi nell’area della mozzarella di bufala Dop. In regione sono 127 i caseifici che producono la mozzarella a denominazione di origine protetta, per un totale di circa 36mila tonnellate e un fatturato di 300 milioni di euro alla produzione e 500 milioni al consumo, per un indotto complessivo che occupa ben 20.000 unità. Una filiera produttiva a cui si guarda con interesse anche da oltre oceano e non solo per la vendita di prodotti innovativi. Ad interessare sono anche le applicazione di scienza e tecnologia per l’ottimizzazione della filiera produttiva. A partire dai risultati di particolare interesse scientifico, e non solo dal punto di vista sanitario, emersi dal progetto, come sottolinea il numero uno della multinazionale Paul Schinckler, presidente della Pioneer, in questi giorni in visita nei maggiori caseifici della Piana del Sele. «Questo progetto – commenta – è per noi molto importante perché sintetizza quella che è la mission della nostra azienda che non intende solo vendere prodotti, ma accompagnare gli agricoltori in un processo di ottimizzazione delle loro produzioni fornendo loro risposte ai problemi e attraverso le nostre competenze scientifico-tecnologiche, conseguire risultati sempre più ambiziosi». Risultati importanti soprattutto per gli allevatori, che grazie alla ricerca scientifica possono migliorare l’alimentazione dei capi allevati e, di conseguenza, la qualità del latte prodotto. Dall’incrocio dei dati raccolti, nell’ambito di quello che ad oggi è il più vasto programma di monitoraggio dedicato alle bufale in Italia, viene fuori che, contrariamente a quanto si pensava, non vi è alcuna correlazione evidente fra l’utilizzo di silomais e prolasso. A fare la differenza, invece, come spiega il presidente Paul Schincker, con l’incidenza della patologia, è la scarsa qualità del silomais. Dall’analisi emerge, infatti, che le aziende che nutrivano gli animali con silomais mal conservato o di scarsa qualità durante l’asciutta appartenevano per il 76% al gruppo di alta incidenza, al contrario quelle che utilizzavano in razione silomais soddisfacente, dal punto di vista nutrizionale e conservativo, erano per il 65.5% aziende con bassa incidenza di prolasso. Numeri che dimostrano l’estrema importanza dell’alimentazione nel contenimento del fenomeno del prolasso, come già dimostrato in qualche azienda della provincia, che rappresentano la base di partenza per un progetto destinato ad ampliarsi prendendo in esame anche il contenuto in minerali dell’insilato.
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